Petali e parole
Author:Maria |
Pairing:Angel/Kate |
Rating:Angst |
Spoiler per: Ephifany. |
Summary:Kate e Angel e il giardino dell'Hyperion...
quando ami la sofferenza dell'altro può diventare la tua. |
Timeline: dopo Ephifany. |
Disclaimer: i personaggi delle serie "Angel"
e "Buffy, the vampire Slayer", appartengono a Joss Whedon, la WB, ME
e la Fox, l'autrice scrive senza alcuno scopo di lucro e non intende
violare alcun copyright.
"Ad Anna, la mia dolcissima musa ,la mia meravigliosa amica, la cosa
più bella che mi sia capitata da un periodo troppo lungo di tempo.
E a Sabrina, una delle persone più forti che abbia mai conosciuto.
Il mondo sarebbe molto, molto più brutto se non ci fossi tu. "
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Petali e parole
L' aveva ferita, quando lo aveva detto.
Eppure, Angel non aveva voluto ferirla.
Non c'era nessuno, al mondo, che meno di lui desiderasse ferire anima
viva.
Lui che aveva il potere di farlo.
Lui che aveva amato farlo.
E non quando era stato un demone.
Ma un ragazzo, arrabbiato e solo.
Le aveva colpito l'anima, riempiendola di tristezza.
Eppure, l'aveva condotta lì per aiutarla... per curare la sua ferita.
E tutto ciò che aveva fatto era stato aprirle uno spiraglio nel suo cuore.
Non poteva sapere...
No poteva immaginare quanto il cuore di Kate fosse legato al suo.
Quando potesse ferirla con le sue parole.
Molto più che con la sua rabbia, molto più che col suo morso.
Lui che con le parole era stato ferito.
Molto più che con la rabbia, molto più che con il sangue.
Non poteva comprendere, in quel momento, come una frase, una risposta
potesse farle così male.
Ferendola.
Confondendola.
Perché era lui che l'aveva pronunciata.
Facendole capire che lo amava.
Aprendole uno spiraglio nel suo stesso cuore.
Petali nel vento, in un angolo ombroso del giardino dell'Hyperion.
Leggeri.
Inconsapevoli di vorticare nell'aria.
Gettati l'uno contro l'altro dal caso, dal cuore, dalla mente, dall'
errore, che torna a essere caso.
Allontanati.
Riuniti.
Per volontà, o perché impossibile da controllare.
Parole legate a parole.
Spirito di un sentimento.
Nell'ombra del giardino del' Hyperion.
Mentre l'odore dei fuori e dell'erba bagnata si confondeva con quello
tenue del disinfettante con cui Angel l'aveva curata.
Ustionandola col tocco freddo delle sue dita.
Casi.
Coincidenze.
Petali nell'acqua di un torrente.
Nella fontana del giardino.
Che danzavano in cerchi concentrici.
Avvicinandosi.
Allontanandosi.
Due ombre, in una strada semi deserta di Los Angeles.
Un vampiro, e una donna che portava il suo segno.
Sulla carne e nell'anima.
Ed era sembrato assurdo, perché era a lui che Kate stava pensando.
Come ogni giorno, dacché era entrato in casa sua, senza invito, salvandole
la vita.
E da molto prima.
Anche se no lo aveva più rivisto.
Parole di scusa.
Sorrisi pieni di imbarazzo.
La mano di Kate, che, senza volerlo, le era corsa al collo.
L'aveva illuminata con il suo sorriso.
Eppure, Angel non lo aveva saputo.
E non c'era nessuno, al mondo, che, meno di lui, fidasse nella propria
abilità di far felici gli altri.
Lui che aveva in mano il cuore di Kate.
Senza saperlo.
E lo aveva ferito, stringendo troppo forte, con cinque parole.
Regalandole un bacio di tristezza.
E la consapevolezza di essere perduta.
Di amarlo, oltre ogni logica umana.
Scintille nel crepitio di un fuoco.
Petali che si staccavano dal fiore, e volteggiavano uno accanto all'altro.
Avvicinandosi.
Allontanandosi.
In un solo secondo.
Per il volgere del tempo.
E del caso.
E della mente.
E del cuore.
Rapido.
Imprevedibile.
Come il demone che li aveva attaccati.
Senza motivo.
Senza ragione.
Per... caso.
Kate non sapeva, allora, perché lo avesse seguito.
Lungo la scaletta instabile.
Nel buio dei tunnel.
Avrebbe potuto essere uccisa.
Mentre lo aveva salvato.
Come, non lo avrebbe mai saputo.
Era rimasta solo indietro, troppo lenta per il passo di Angel.
E aveva visto il demone sbucargli alle spalle.
E aveva gridato.
E il paletto gli aveva colpito la spalla, anziché il cuore.
Era stata felice.
E quella ferita l'aveva fatta felice.
Perché se c'era uno scontro, Angel era vivo.
Per merito suo, forse, o perché così doveva essere, o per caso...
E aveva potuto guardarlo negli occhi, mentre il demone finiva in terra.
Fra di loro.
Ombre nel buio di un tunnel.
Petali cresciuti sulla stessa gemma, identici, senza mai toccarsi.
Inconsapevoli l'uno dell' esistenza dell'altro.
Fino a che il fiore non cresce, e così, per caso o per natura, non
arrivano a sfiorarsi.
Le aveva detto che non avrebbe dovuto seguirlo.
E l'aveva irritata con quelle parole.
Eppure, Angel non aveva voluto irritarla.
E non c'era nessuno, al mondo, che più di lui desiderasse la pace.
Lui che era un guerriero.
Lui che la pace l'aveva sfiorata per un solo istante, pagandola col
sangue.
E le aveva detto grazie.
E l'aveva vinta con quell'unica parola.
E col fuoco dei suoi occhi.
L'Hyperion era più vicino di casa sua, e lei desiderava qual giardino.
Desiderava quell'angolo di pace.
E i ricordi dell'unica volta che erano stati insieme, su quella stessa
panchina, senza ombre oscure a porsi fra di loro.
Ne bugie.
Ne esitazioni.
Attimi.
Irripetibili.
Eppure, lei aveva sognato di riviverli.
Cercando con le sue mani il suo castigo.
Perché Angel l'aveva ferita.
Con cinque parole e l'espressione triste del suo volto.
Eppure, lui non aveva voluto ferirla, ma solo scacciare una lucertola...
Una piccola lucertola che le sui stava arrampicando sul ginocchio.
Non aveva neanche voluto toccarla.
Era stata Kate a volerlo.
Kate a farlo.
Intercettando la sua mano.
Mentre petali leggeri di fiori le si posavano in grembo.
Tenendola.
Per la prima volta dacché si conoscevano.
Senza imbarazzo.
E senza che lui la ritirasse.
E anche dopo, quando l'imbarazzo era venuto, aveva continuato a tenerla.
E lui a non ritirarla.
Per caso.
E per volontà.
O per comando del cuore.
Gli aveva detto quanto le piacessero le lucertole.
Come giocasse con loro, sul terrazzo di casa, nei solitari pomeriggi
estivi della sua infanzia.
E lui aveva sorriso.
E aveva provato dolore per lei.
Parole.
Una dopo l'altra.
Che scendevano come pioggia.
O evaporavano come gocce di rugiada d'estate.
Che si rincorrevano come lucciole al buio.
Finché prendevano vita, e camminavano, e si incontravano da sole.
Imprevedibili.
Incontrollabili.
Prendendo in giro il tempo, perché i secondi sembrassero minuti, e i
minuti ore.
Intrecciandosi.
Come le dita di due mani che, prima, non si erano mai incontrate.
E poi loro.
Seduti nel giardino dell'Hyperion.
Diversi, come un vampiro ed una donna.
Uguali, come anime piene di dolore.
Corpi uno accanto all'altro, petali che riposavano sul grembo di Kate, e
sulle spalle di Angel.
Senza che nessuno dei due volesse scuoterli via.
Gli aveva chiesto che cosa gli piacesse da ragazzo, cosa avesse amato più
di ogni altra cosa.
E aveva detto ragazzo per non dire vivo.
Parole.
Parole scelte per non ferire.
Non sapeva perché lo avesse chiesto.
Per caso.
O per ragione.
O per volere del cuore.
Per essere nella sua anima.
Per capire.
O solo perché era bello stare lì con li.
L'aveva ferita con le sue parole.
Con la sua risposta.
Eppure, Angel non aveva voluto ferirla.
Non aveva voluto scavare nel suo cuore e versarvi una lacrima.
Non aveva voluto fare del male a Kate.
Con la mano intrecciata alla sua, con gli occhi intrecciati ai suo, era
stato sincero.
Le aveva aperto il cuore, e l'anima, e il passato.
L'aveva fatta avvicinare più che se l'avesse stretta.
Più che se l'avesse amata.
E l'aveva ferita.
Trasformando in tristezza quell'angolo di pace.
L'aveva fatta piangere senza versare lacrime.
Rivelandole il segreto del suo stesso cuore.
E Kate era stata perduta.
Perché aveva capito di amarlo.
E il dolore era stato il dono del suo amore.
Eppure, Angel non aveva voluto donarle dolore.
Aveva voluto darle una parte di se.
"A me piaceva il sole." Aveva detto.
Fine
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